Anelito vampiresco
“Tacerai una buona volta, malaugurata voce dei viventi”.
Leconte de Lisle
Io sogno i vasti spazi di medievali ardori,
i silenzi febbrili ed i taciturni sentimenti
che fioriscono, ovattati, tra gli stenti
e sono come abissi scuri a questi limpidi dolori.
Vorrei ascoltare notti senza chiasso né chiarore,
avvolte nella bruma e nella tenebra dei miasmi
che si plasmano, docili, in crimini o fantasmi
d’altere dame, oppresse dall’amore.
Alla luce di questo secolo cafone
mi abbaglio, e quale vampiro incenerisco,
com’è dal volgo crocifissa l’illusione;
io, come fantasia spoglia d’ogni basilisco,
come ubriaco abbandonato dal dolce liquore,
perisco al sole, di uno struggente languore.
Al galoppo
“RE RICCARDO: Un cavallo! Un cavallo! Il mio regno per un cavallo!”
William Shakespeare
Seduto su poltrone d’oppio,
aggrappato ad ombre sottili,
il mio sogno solleva i ricordi
e le immagini svanite per sempre.
Così il mio fiero e nero cavallo,
nel suo cimmerio galoppo,
solleva glebe d’istanti obliati
da cumuli d’appassiti momenti.
Affondando nell’aria pungente,
urlano odorosi vapori
di vite ed illusioni ingiallite,
liberando antichi e defunti sapori.
Nel mio sbrigliato sognare
sparpaglio frammenti di sogno
che, avvoltolati nel sonno,
aprono gli occhi alla vita.
Amore primaverile
“O Morte nella Vita, i giorni che non sono più”
Alfred Tennyson
Appariva grave e leggera
nella sua maestosità romana,
eterea ed etera ad un tempo,
figlia del deserto e del gelo.
La sua era gentilezza eccitante
e rozza sublimazione:
mi smarrii nel suo freddo turchese
e mi distesi sulla sua pelle dorata.
Regina di immortali città,
dea di saghe e signora di dolci ballate,
il mio fu desiderio di vanto,
vanità divorata da ebbrezza.
Tu, antica come Sfinge,
mi scivoli come sabbia tra le dita.
Devozione
“L’uomo tende verso il suo Signore, che è la sua origine, come la donna tende verso l’uomo”
Muhyi’d-dīn
Ibn Arabī
Ti avvinghi a me come devota fedele
si affida al suo santo più caro,
e le tue labbra, baciando, dolci come miele,
sussurrano l’inno più raro.
Quando mi perdo nel tuo amplesso
sono un dio trionfante ed orgoglioso
che gioisce, impudico ed ossesso,
dei martiri e del lor sangue prezioso;
invece, se, geisha dedita all’amore,
apri a me, profano, gli occhi – gioielli
nascosti dallo scrigno delle tue palpebre –,
da dio divento penitente senza onore
e le mie amare lacrime son come orpelli
di cui tu cingi la vanità muliebre.
Favola
“Così colui del
colpo non accorto,
Andava combattendo,
ed era morto”.
Ludovico Ariosto
In
un assolato giardino di velluto,
assopito
sotto un’ombra gelida,
algido
come l’azzurro stava
un
angelo femmineo, un puro canto.
Stanco,
un valente destriero
portava
principesche labbra,
avvolte
in un vapor turchino,
a
chiedere in moglie baciando.
Destandosi,
l’immagine stessa
del
sonno ebbe un fremito esile
e
disse esultante: “Lo voglio!”
Ma
impallidirono i fiori,
e
diafani fattisi i volti…
-
Io non posso sposarti, io sono già morta! -.
Gioconda
“La grazia è proprio il dono delle Fate:
tutto si può con essa, senza non si può niente”
Charles Perrault
Mi attanaglia una vertigine languida
se il tuo corpo vigoroso e dolce
mi vibra accanto: e sembra una schermaglia
quel fremito amabile eppure doloroso.
Nei tuoi profondi e verdi occhi
si specchia del bosco la frescura
ed i tuoi sguardi sono oboli
offerti senza amore e senza cura.
Come docili fiori di campo
le tue labbra sono semplici e rare:
gioielli confezionati da maestri,
mazzolini composti da fanciulle
che ornano di celeste pietà
questa mia tomba obliata.
Malasorte
“Perché la vita è
breve,
Et l’ingegno paventa
a l’alta impresa”.
Francesco Petrarca
Un
canto secolare, triste e suggestivo,
lambisce
la mia anima sfuggente,
e
come d’inverno un raggio estivo,
risveglia
gli assopiti sensi della mente.
Profumi
antichi come marmi fieri
salgono,
al crepuscolo, al mio cuore,
e
come dita di musicisti austeri,
destano
i miei accordi dal sopore.
Nero
boia, il sentore della morte
punzecchia
una grottesca ossessione:
sciancata
e guasta è la mia sorte,
malaticcio
sintomo della mia passione!
Nel
pianto guardo l’immenso mare
e
la mia lacrima sta già per evaporare.
Marie Roget
“LAERTE: Di
troppa acqua sei già vittima, povera Ofelia: tratterrò le mie lacrime”.
William Shakespeare
Placida
ed assorta languivi
in
tumide cloache,
dove
in diafani volti
si
plasmavano le Furie;
e
del tuo cerulo viso,
la
morte golosa
faceva
orrido scempio
coi
suoi luogotenenti.
Non
conoscevi felicità
che
non fosse avvenenza:
oh
bellezza mortale…
…
ed ora mortale sì bella!
Adesso
sei vergine e madre
di
furore e di livido odio,
senza
un misero inferno
e
digiuna d’un paradiso beato;
risplende
di lauto clamore
il
tuo nero ed uggioso assassino:
e
a te, mentre non navighi più,
unico
dono è il silenzio.
Nel vuoto sacro di riverberi lustrali
A S.
Splende la luna come un tempio greco,
Luminosa, in un corteo di stelle:
Pare sospesa nel notturno cielo,
Astro lucente, vano marmo bianco...
I tuoi occhi accendono il mio cuore,
Triste della tua mancanza, affranto...
... Scoglio saldo nel vasto blu del mare...
Lontana come il sogno e l'Aquilone,
Stella pura, numinoso incanto...
Ti amo: e scendo nel cuore della Terra.
Mi specchio, al plenilunio, in acque chiare.
Vibrano d'aroma rose eterne,
Stese sul tuo santo altare, o mia dea,
Dolce come il latte ed il candore.
Antico alloro su maestà rocciose;
E i tuoi riccioli, come loto in fiore,
Sembrano spume pallide ed astrali
Che vagano per vie d'eterno amore.
Ode tredicina (odicina)
In occasione del CXC anniversario della morte di E. A.
Poe.
“La Musa m’ispirò"
Pindaro
Allorché le oscure mezzenotti
risplendono, tenebrose, nel cielo,
come corvi funerei dell’Averno
o come vedove avvolte nel dolore,
naviga, placato, il tuo spirito:
e sfiora l’universo addormentato…
Allora mi avvinghiano deliri,
tremanti d’estatico abbandono,
e folli nebbie danzano in silenzio.
Pregano le sirene da lontano
e tu, anima così stanca e divina,
sprofondi in un vortice di vita,
quieto maelstrom di morte perenne.
Odicina (Ode tredicina)
a L. T.
“Or
qual degg’io chiamarte:
Musico
Apollo o valoroso Marte?
Che se tua spada alcun di vita priva,
La tua canora cetra indi l’avviva”
Scipione
Errico
Come nel lungo viaggio della vita
caro ci è il viandante allegro,
che con la gioia sua ci spinge avanti
e si fa lieto il cuore in triste aspetto;
come la guida esperta allo straniero
illumina la via tra folti boschi
o disseta, negli aridi deserti,
con l’oasi fresca della sua sapienza;
così mi sei gradito, caro amico,
stimolo d’ardito slancio al cielo
e gradevole cantore d’altre storie:
riflesso del mio cuore in cui mi miro,
compagno d’amicizia e di destino!
Omaggio ad Oblomov
“Nei sogni era immersa questa vita,
per questo vivo contemplando in eterno sogni"
Karoline von Günderrode
Diluito nei sopori corposi
d’un fasto lauto e sonnolente,
vago come gondola
e come onda mi lambisco.
Nei poderosi templi
d’immaginarie pazzie
scorgo, in ampolle profumate,
un vitreo volto d’eroe
che, vano ed illuso,
rincorre fantasie addormentate.
Brillii di fatate esistenze
avvolte in opachi lucori,
come silenti e languide passioni
che, sognando, divorano se stesse.
FATE
Attese lunghe come mezzenotti,
sospese nell’incanto di un momento
che non finisce mai.
Sospiri di dolore e di passione,
lungo deserti e mari aperti,
senza luci né chiarori.
E poi, improvvisa come l’alba,
chiara, come luce o folgore:
creatura dal reame delle fate.
Vibrano i miei sensi,
e risuona la mia anima,
sospira di entusiasmo e di candore.
Gioielli d’ambra e luci d’oro
Risplendono nei suoi occhi,
come stelle nella tenebra.
Notte scura e senza stelle
Sono i suoi capelli,
reame di passione e di mistero.
Dolcezza pura e languida,
come sciroppi zuccherini
tintinnanti di melodie soffuse.
In radure dimenticate e nascoste
Nel fondo di boschi addormentati
Mi è apparsa come fata incantatrice.
Ogni suo gesto, lieve e delicato,
accompagna i miei sogni
più reconditi e segreti.
La sua voce è melodia
D’eterno incanto, leggero,
e lieto come primavere.
Nel bagliore dei suoi occhi
si celano profondità
D’abissi floreali.
Al suo incedere danzante
Si smarrisce lo sguardo,
come in torpori d’acceso ardore.
Intensa come incenso e muschio,
pura come aroma di mughetti,
sensuale e calda come piogge tropicali.
Dolce come tramonti d’arancione,
avvolgente come brume nebbiose,
penetrante come vino rosso.
La sua parola magica,
e il suo sguardo di malia
Mi conducono nei regni
Delle fate; profondità
Sognate per millenni,
come unica terra, unica casa.
Laggiù, dove lungo la linea violacea
E stesa d’arancione
del crepuscolo,
laggiù dove il cielo scende
a baciare la terra vasta come una dea,
laggiù ho incontrato una fata,
chiara, come sacra ninfa.
Rondò III
Scrivo solo e lontano,
in segrete sommerse
invase dal pantano.
Scrivo solo e lontano,
come gridando invano
le tradizioni perse.
Scrivo solo e lontano
in segrete sommerse.
PIETRO CHIERICHETTI
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