Kṛṣṇa,
letteralmente “lo scuro” è figura già citata nel Veda ma assume i contorni di
una divinità propria solo a cavallo dell’era volgare nella corrente dei
Bhagavat che pone appunto Kṛṣṇa al centro della devozione (il testo
fondamentale è infatti il Bhāgavata Purāṇa).
Il
nome di Kṛṣṇa è già citato nella Chāndogya Upaniṣad ma è nel Mahābhārata, il
grande poema indiano che narra della lotta tra i Paṇḍava e i Kaurava, due
stirpi di cugini in guerra per il dominio imperiale, che Kṛṣṇa assume un ruolo
davvero preminente: nel poema Kṛṣṇa è figlio di Vasudeva e Devakī. La sua
nascita avverrebbe a Mathurā dove governa il tiranno Kaṃsa, zio del piccolo Kṛṣṇa.
Saputo da una predizione che sarebbe stato ucciso per mano di un nipote, Kaṃsa
fa uccidere tutti i figli di Devakī, sua cugina.
La
vicenda non può non essere accostata al mito romano di Rea Silvia che
partorisce i gemelli di nascosto e li affida alle correnti del Tevere per
sottrarli alla furia del tiranno usurpatore, nonché zio, Amulio.
Il
settimo figlio di Devakī, Balarāma viene magicamente trasferito nel grembo di
Rohinī e Devakī è imprigionata. Rimane incinta nonostante l’isolamento grazie a
un capello nero di Viṣṇu. Per questo Kṛṣṇa nasce appunto con colorito scuro
mentre Balarāma è solitamente rappresentato di colorito chiaro.
Anche
questa vicenda può non accostarsi a un episodio della mitologia classica,
quando Zeus seduce Danae trasformandosi in pioggia d’oro per superare le
barriere fisiche della prigione in cui Acrisio, tiranno di Argo e padre della
stessa Danae, aveva rinchiuso la figlia dopo aver saputo, tramite profezia, che
sarebbe stato ucciso dal nipote (cioè Perseo).
Kṛṣṇa
cresce affidato a due pastori (anche qui si ravvisa un significativo
accostamento con la vicenda di Romolo e Remo trovati dai pastori Faustolo e
Acca Larenzia) di nome Nanda e Yaśodā.
Kṛṣṇa
cresce nella quiete agreste e pastorale insieme alle gopī, pastorelle innamorate
di lui, tra le quali spicca Rādhā. Fin da piccolo Kṛṣṇa deve però affrontare
una serie di pericoli: il tiranno zio Kaṃsa infatti continua ad attentare alla
sua vita. Kṛṣṇa affronta una serie di prove che ricordano le fatiche di Ercole
(e infatti gli antichi Greci al seguito di Alessandro Magno accostarono proprio
la figura di Eracle a quella di Kṛṣṇa).
Kṛṣṇa
trascorre le giornate vagando per le foreste e i pascoli, suonando il
caratteristico flauto dolce (che ci ricorda Pan) e giocando all’amore con le
gopī.
Durante
la lotta tra Pāṇḍava e Kaurava narrata nel Mahābhārata Kṛṣṇa si schiera coi
cinque Pāṇḍava e offre loro il suo aiuto, fatto di consigli anche scaltri e
subdoli.
Celebre
è l’episodio in cui Kṛṣṇa, auriga dell’eroe Arjuna, proprio nel momento della
battaglia finale di Kurukṣetra, consola e istruisce Arjuna sul comportamento da
tenere in battaglia: è la celebre Bhagavad-gītā, il Canto del Beato, in cui Kṛṣṇa
si rileva ad Arjuna come dio supremo.
Questo
testo, tradotto in inglese già a fine Settecento, ha rappresentato e continua a
rappresentare una pietra miliare della spiritualità indiana.
Databile
forse intorno al III sec. a.C., fu la base sulla quale costruire una nuova
sfumatura religiosa, quella appunto della devozione Bhagavata con al centro
proprio la figura di Kṛṣṇa come Beato Signore legato agli uomini da un
reciproco amore che usò il linguaggio dell’erotismo per esprimersi. Pensiamo
solo al Gītā-govinda, il celebre testo di Jayadeva redatto nel XII sec. che
esprime l’amore tra dio e devoto nei termini del sentimento erotico.
Al
termine della battaglia di Kurukṣetra Kṛṣṇa si ritira nella foresta e lì muore
trafitto al tallone da una freccia (interessante il rimando alla vicenda di
Achille) scagliata da un cacciatore dopo che lo stesso Kṛṣṇa si era steso per
terra ad attendere la morte.
Secondo
il mito la morte di Kṛṣṇa, avvenuta il 18 febbraio del 3102 a.C., sancisce l’inizio del Kali yuga, l’ultima era
del mondo.
Nei
primi secoli dell’era volgare Kṛṣṇa cominciò a essere considerato un avatāra di
Viṣṇu: con tutta probabilità questo passaggio avvenne nell’epoca Gupta quando
il dio Viṣṇu assunse una dimensione cultuale prevalente e si tentò in qualche
modo di accogliere nel pantheon figure divine precedenti facendole diventare
manifestazioni del dio supremo Viṣṇu.
Kṛṣṇa
è con tutta probabilità una divinità antichissima e autoctona che venne poi
assorbita nel culto vaiṣṇava ma che rimane a tutt’oggi una delle figure più
intense e potenti del pantheon hindū.
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